Testimonianza dal Sahara

Comunità di preghiera in terra d’Islam

di Claude Rault, vescovo di Laghouat (Algeria)

contribuzione data a Viviers, il 5 Aprile 2013

 

 

Questa riflessione è legata alla mia propria esperienza, ma anche a quella della Chiesa diocesana che mi è stata affidata, molto marcata dalla vita e dalla ricerca di Fratel Carlo de Foucauld e dalla sua testimonianza tra i Musulmani. Il suo sogno era di avere dei compagni, di creare delle Fraternità di preghiera. A questo fine ha fatto numerosi progetti, dai quali traggono ispirazione un certo numero di fondazioni, vecchie o nuove, che vogliono vivere il suo ideale. La Famiglia spirituale ne è una viva testimonianza.

La mia intenzione, ricordando l’importanza di comunità cristiana votate più particolarmente alla preghiera nel contesto musulmano, è di ridirvi che come pastore desidero che si continui a vivere il carisma di Fratel Carlo in questa terra del Sahara algerino. Vorrei pure interpellare i diversi rami della “grande famiglia”, in particolare i più recenti, perché possano prende in consegna dai più anziani i luoghi dove egli ha vissuto e riposa.

Avendo precisato il luogo da cui parlo e l’orientazione che ho voluto dare a questa riflessione, passiamo ai contenuti:

– Vi dirò innanzitutto come io ho scoperto l’importanza delle comunità e fraternità di preghiera nel nostro contesto musulmano.

– In seguito sottolineerò il legame che esiste tra preghiera e presenza evangelica, tra preghiera e testimonianza.

– Ma la preghiera è essa stessa una testimonianza evangelica; sarà il mio terzo punto

– Passerò a dirvi alcuni aspetti di questa preghiera, legati alle esigenze dell’incarnazione: che senso ha pregare in arabo, in una forma di preghiera che sia ben radicata nell’ambiente musulmano.

– Al centro delle nostra vita e della nostra preghiera, c’è naturalmente l’Eucaristia. Non posso non dirvi qualche parola sull’Eucaristia.

– Nell’Eucaristia, i due elementi della Parola e del Pane sono inseparabili. Questi mi porterà a terminare condividendovi la maniera di leggere la Parola de Dio che da due anni pratichiamo nella nostra diocesi.

E’ questo il cammino che vi propongo di percorrere insieme.

 

 

 

  • Comunità di preghiera in Terra d’Islam: il Senso di questa presenza

 

Comincerò con un piccolo aneddoto molto recente. Interrogato dall’Agenzia FIDES sulla maniera in cui pratichiamo la convivialità con i Mussulmani nella Diocesi del Sahara, ho riassunto il nostro approccio intorno a due polarità:

– Una presenza che potremmo dire “attiva”, o anche “apostolica”, tra questa popolazione, attraverso differenti impegni nel campo culturale, o in quelle attività che vengono chiamate “caritative”,

– E una presenza più “gratuita” e adoratrice attraverso comunità e fraternità di preghiera che vivono molto vicine alla popolazione mussulmana.

Ho riletto questa breve intervista nel giornale algerino francofono El Watan. A mia grande sorpresa hanno conservato come degna di nota soltanto la presenza di comunità di preghiera e di prossimità alla popolazione, riferendosi soprattutto alle Fraternità delle Sorelle e dei Fratelli della Famiglia spirituale di Carlo de Foucauld.

In un giornale… i redattori si concentrano soprattutto su ciò che considerano importante di trasmettere, e io ho letto in questa scelta il riconoscimento esplicito e rilevante di questa presenza “contemplativa” in terra d’Islam. Questo piccolo fatto viene a confermare anticipatamente ciò che vorrei dirvi nella mia riflessione.

Adesso permettetemi di tornare indietro condividendovi la mia esperienza personale… ma chi non è unico nel suo genere !

Quando nel 1970 sono arrivato in Algeria per la prima volta, ho constatato che la priorità della maggioranza delle comunità religiose o parrocchiali era marcata dall’urgenza dello sviluppo, cosa comprensibile in un paese che aveva appena conseguito l’indipendenza. Sentivo pure che, parallelamente, le comunità mussulmane esibivano una fede semplice, popolare, basata sugli atti più concreti della vita. La dimensione religiosa e orante della vita era così naturale per loro.

Nella Chiesa di quest’epoca, i tumulti del movimento di secolarizzazione che agitavano le comunità cristiane d’Europa, avevano attraversato il Mediterraneo, e io stesso ne ero profondamente marcato. Come tanti, ero più preoccupato di portare il mio contributo allo sviluppo socio-economico del paese che di prestare attenzione a una fede che la scienza, il progresso economico e il tempo avrebbero finito per fare evolvere verso una sorta di secolarizzazione, come in Europa. E’ pure vero che la marcia forzata dei responsabili politici del paese verso un socialismo di tipo sovietico poteva spingere in questa direzione. La storia li ha largamente sorpassati.

Ciò che chiamiamo “La Missione” doveva perciò fondersi con l’attiità di sviluppo fino a talvolta confondersi con essa. Decisi allora d’intraprendere una formazione professionale seria e di completarla, dopo essere passato per lo studio della lingua araba, letterale e dialettale, cosa che feci al PISAI di Roma e al “Centre des Glycines” di Algeri. Devo aggiungere che a quell’epoca non avevo ancora incontrato le Fraternità dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle di Gesù, che hanno marcato in seguito il mio percorso. Conoscevo la loro spiritualità solamente attraverso la vita di Carlo de Foucauld e alcuni dei suoi scritti. Come molti sacerdoti della mia generazione, avevo letto e studiato il libro del Padre Voillaume “Come loro”, che tutti i seminaristi avevano nella loro biblioteca. D’altro canto non avevo ancora incontrato la comunità dei monaci di Tibhirine, né Fratel Christian de Chergé con il quale, in seguito, abbiamo fondato nel 1979 il “Ribât Essalâm”, il Laccio della Pace. Ve ne parlerò tra poco.

Tuttavia abbastanza presto questa prima esperienza, appena delineata, è stata attraversata dal dubbio. Questo dubbio era provocato innanzitutto da una serie di eventi esteriori. Le istituzioni della Chiesa sono state nazionalizzate nel 1979: ospedali, scuole, uffici, centri di formazione professionale. Le nostre opere si sono bruscamente indirizzate verso l’”algerizzazione”. E non è facile situarsi in questa Algeria che continua a costruirsi.

Ma su quale modello? Secondo molti mussulmani del paese, e tra i più influenti, l’Occidente non era necessariamente il miglior esempio da seguire, e il personale della Chiesa (religiose, religiosi, preti e perfino laici) diminuiva a vista d’occhio a causa di partenze diversamente motivate.  Alcuni dicevano: “non ci vogliono più ”, “non hanno più bisogno di noi”. Altri, toccati dal movimento di secolarizzazione degli anni 70, lasciavano il sacerdozio o la vita religiosa. La presenza dei laici nelle comunità cristiane si faceva pure sempre più rara.

Parallelamente un certa parte del personale della Chiesa, che non aveva optato per la vita contemplativa, iniziava un cammino interiore. E’ nella veste di “specialisti” nel campo dello sviluppo socio-economico o culturale che dovremo continuare a servire questo paese e ad assicurarvi la nostra presenza? E’ in questo senso che va il miglior servizio che si possa rendere a questo paese? Lentamente sorgeva un dubbio e il richiamo assiduo dei mussulmani alla preghiera veniva come una sorta di risposta a questo dubbio: non dovremmo essere oranti tra gli oranti ? Questo mi fa pensare all’influenza che ebbe su Fratel Carlo il fatto di veder pregare i mussulmani nel momento in cui la sua vita gli appariva senza senso, prima della conversione. “Essere oranti tra gli oranti”…  La famiglia di Carlo de Foucauld, già installata nel paese, ne era un’illustrazione ben radicata.

Fu allora che, in seguito a numerosi incontri con Fratel Christian de Chergé, abbiamo fondato nel 1979, il “Ribât Essalâm”, il “Laccio della Pace”, un modesto gruppo di dialogo e condivisione spirituale con dei mussulmani e delle mussulmane. Il monastero di Tibhirine divenne il nostro luogo d’incontro. La finalità non era di dilungarsi e discutere su temi teologici, ma di condividere il cuore della nostra vita e della nostra preghiera.

Al principio pregavamo gli uni accanto agli altri, ma poco a poco siamo stati condotti a pregare gli uni per gli altri. Facemmo tutto un cammino e, due volte l’anno, ci ritroviamo per due buone giornate per vivere quest’esperienza, un’esperienza che lascia il segno sulla nostra vita tra i due incontri annuali. Tutto questo ci porta a una conoscenza più interiore dell’Islam, e a una lettura più spirituale del Corano, suscitata da quello che i mussulmani del gruppo ci condividono.

Questo tipo di lettura del Corano era finora riservata a degli specialisti. I mussulmani avevano la loro Scrittura, i cristiani la loro. L’inquietudine si faceva sentire intorno a noi: non rischiamo la confusione e l’amalgama ?

Rispondendo a questa chiamata, comprendevo sempre meglio le scoperte e il percorso del Padre de Foucauld a contato con i mussulmani. L’incontro con le Fraternità delle Piccole Sorelle e di Piccoli Fratelli di Gesù mi mostrava che si continuava a scavare il solco da lui lasciato. Devo aggiungere che le frequenti riflessioni scambiate con Fratel Christian de Chergé, la condivisione della preghiera con una piccola comunità di Suore di Sant’Agostino che vivevano sole in una piccola città del M’Zab, non facevano che confermarmi l’importanza di comunità di preghiera in ambiente mussulmano. Due anni di presenza a Ghardaïa, e poi tre anni di vita in una comunità dei Padri Bianchi a Touggourt, animati da questa stessa ricerca, non hanno fatto che avvalorare ai miei occhi la rilevanza e il significato della presenza di comunità di preghiera. La vicinanza a Toggourt della Fraternità delle Piccole Sorelle nel loro luogo di fondazione, mi spingevano in questa direzione. Questa maniera di accentuare la vita contemplativa in ambiente mussulmano veniva ad illustrare ciò che il Concilio aveva dichiarato nel “Nostra Aetate”:

“La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce…” (3. Dichiarazione Nostra Aetate, sulla Chiesa e le religioni non cristiane)

Devo anche confessare che sono stato “tentato” dalla vita monastica! La vita monastica è chiaramente riconosciuta come esemplare nel Corano:

“ Troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono: “In verità siamo cristiani”, perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia” (V,82)

E quest’altro passaggio, che procede piuttosto in maniera allusiva:

Dio è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada… Questa lampada si trova nelle case che Dio ha permesso di innalzare, in cui il Suo Nome viene menzionato, in cui al mattino e alla sera, Egli è glorificato” (XXIV, 35-36)

Di fronte a questa “tentazione monastica”, decisi con i miei responsabili di fare una pausa e di prendere un tempo di discernimento. Dopo questo tempo di discernimento scoprii che era proprio come Padre Bianco che ero chiamato a continuare quest’”avventura” spirituale. Avrei anche potuto scegliere la vita dei Piccoli Fratelli… ma non era il mio cammino. Ho dunque continuato nella mia famiglia apostolica d’origine fino a diventare un “piccolo vescovo”… in mancanza di meglio !

Vorrei approfittare di questa condivisione per rimettere in luce certi elementi che mi sembrano importanti in vista della costruzione di Fraternità o Comunità di preghiera in ambiente Islamico. Ho la fortuna – o piuttosto la grazia – di avere ricevuto la responsabilità della Diocesi nella quale Fratel Carlo ha passato la parte la più generosa del suo tempo. Ho pure la grazia di essere in una Diocesi dove vivono quattro Fraternità maschili (Piccoli Fratelli di Gesù e Piccoli Fratelli del Vangelo), e quattro Fraternità femminili (Piccole Sorelle di Gesù e Piccole Sorelle del Sacro Cuore). Traggo ispirazione dalla loro lunga esperienza. Non pretendo dunque offrivi cose nuove… né inventare la luna… Questi punti si avvicinano profondamente, lo credo, alla ricerca incessante che fece Fratel Carlo e che caratterizza la grande famiglia spirituale che egli ha generato dopo la sua morte.

 

 

 

  • Oranti che testimoniano – Legame tra preghiera e presenza evangelica

 

Lascio innanzitutto parlare colei che la Chiesa ha scelto come “patrona delle Missioni”, Santa Teresa del Bambin Gesù. Ella ci ricorda che la Missione è innanzitutto un’opera interiore. “Un saggio ha detto: “datemi una leva, un punto d’appoggio, e solleverò il mondo”. Ciò che Archimede non ha potuto ottenere, perché la sua domanda non si indirizzava a Dio ed era fatta da un punto di vista meramente materiale, i santi l’hanno ottenuto con pienezza. L’Onnipotente ha dato loro il punto d’appoggio: Lui stesso e Lui solo; come leva ha dato loro la preghiera, che infiamma d’un fuoco d’Amore, ed è così che hanno sollevato il mondo. E’ così che i santi ancora militanti lo sollevano e che, fino alla fine del mondo, i santi futuri anch’essi lo solleveranno”. Questa riflessione è quasi contemporanea a Fratel Carlo. La preghiera è stata il fondo della sua vita. Ne ha riscoperto la dimensione fondamentale, sfiorandola in un momento capitale della sua vita.

Permettetemi allo stesso tempo di citare il Cardinale Lavigerie, fondatore dei Padri Bianchi. Ecco quanto scriveva ai suoi missionari:

“Che il missionario sappia che egli  è uomo di preghiera, che appartiene  interamente a Dio, perché è inviato da Dio; ma soprattutto che sia sempre  unito a N.S. Gesù Cristo, nel SS. Sacramento che deve sempre conservare il più vicino possibile”(“Lavigerie à ses missionaires – Choix de teste”, p.134).

Dice anche:

Il vero zelo deve sempre risiedere nel cuore e nascere dall’amore di Nostro Signore Gesù Cristo. Quest’Amore si alimenta  nella preghiera… Conservare il silenzio per mantenere in sé lo spirito di preghiera” (op.cit. pp.136-137).

La testimonianza dei grandi oranti in Algeria è molto eloquente. Non soltanto Fratel Carlo di Gesù ma anche il Padre Peyriguère (che ha cominciato la sua esperienza di vita vicino a Ghardaïa), Piccola Sorella Madeleine, Carlo Carretto, Fratel Ermete… e tanti altri: quelli e quelle che vivono nel cuore delle città o dei deserti, questo faccia a faccia con Dio, più particolarmente nell’adorazione eucaristica, e sempre nello spirito di nascondimento di Nazareth.

La vera preghiera testimonia dell’assoluto di Dio. E lo testimonia ancor più in terra d’Islam, dove l’adorazione del Dio Unico e Misericordioso ci mette immediatamente all’unisono con quelli e quelle con cui viviamo. La preghiera, qualunque essa sia, costituisce un patrimonio comune, al di là delle forme che possa assumere. E’un atto gratuito d’adorazione e d’Amore “in vista di Dio solo”, ma l’orante e la comunità orante divengono allo steso tempo una testimonianza viva che Dio è il centro di tutta la vita. “Là dove è il tuo tesoro, là sarà pure il tuo cuore”. La preghiera non è uno “strumento apostolico”, è gratuita, testimonia per se stessa la grandezza di Dio. La preghiera la più nascosta ha un valore tutto suo: “Ma tu, quando vuoi pregare, entra nella tua camera, serra l’uscio e prega il Padre tuo che sta nel segreto, e il Padre tuo che vede nel segreto te ne darà la ricompensa”,  ci dice Gesù (Mt 6,6). Nei paesi in cui il richiamo del “muezzin” risuona cinque volte al giorno per convocare i credenti alla preghiera e all’adorazione, saremo noi gli ultimi ad ascoltare quest’invito? Molto spesso ho letto sul volto di amici mussulmani la sorpresa di sapere che i cristiani sono anche uomini e donne di preghiera, dei “mousallîn”. Nelle nostre comunità e fraternità, i tempi della nostra preghiera sono rispettati dai nostri amici mussulmani: evitano di venire a trovarci se ne conoscono l’orario.

Nella conversazione “faccia a faccia” con Attia, il capo del gruppo dei “fratelli della montagna” come Fratel Chritian li chiamava,  questi racconta che aveva annunciato loro che la comunità monastica avrebbe celebrato in preghiera la festa di Natale, la nascita del Principe della Pace. E il capo Attia si è scusato: “Perdonatemi, non lo sapevo”…

            Ecco quanto scriveva, poco prima del 27 ottobre 1994, Saïd Mekbel, un giornalista algerino, quando due religiose spagnole vennero assassinate mentre andavano a messa:

Da questa domenica il pensiero non cessa di girare intorno all’assassinato delle due religiose spagnole. Come e perché?Come si può sparare su due donne? Su due religiose, su creature di Dio che, nella loro santa domenica, andavano in piena fiducia a pregare il Creatore?

Perché? Senza dubbio per ringraziarle di avere curato i nostri cari durante anni ed anni, d’aver guarito un membro della nostra famiglia, confortato un vicino… Uno che forse si trova tra i loro assassini? Chi sa di che si alimenta questa selvaggia follia assassina? Certamente dunque per ringraziarle? Di essere restate nel nostro paese malgrado i consigli e le esortazioni, di essere restate in questo paese che noi stessi, Algerini, disertiamo perché in preda al terrore e allo sbando.

Due donne che andavano da Dio per implorare la sua grazia. Vi andavano certamente per fare le loro piccole preghiere per noi, poveri Algerini sottomessi al flagello. Forse ci mancheranno per tanto tempo queste due religiose che volevano far pendere la bilancia dal lato della pace e della misericordia. Verso quale mondo di tenebre ci incamminiamo, noi che sogniamo soltanto la luce?” (Saïd Mekbel. “Ce voleur qui…”, p.335). Questo giornalista è stato assassinato pochi giorni dopo la pubblicazione di questo testo.

Più che a qualsiasi altra forma di presenza, i mussulmani sono sensibili alla nostra vita di preghiera. Sempre più sovente ci domandano di pregare per loro. E noi pure ci possiamo affidare alle loro preghiere! La preghiera è un terreno d’incontro perché si tratta di un’esperienza comune che possiamo condividere. E’ un’occasione normale per dialogare tra credenti sul fondo stesso della nostra fede, sulla vocazione “verticale” della persona umana. Il dialogo può essere intavolato alla maniera in cui Cristo ha incontrato la Samaritana: l’essenziale non è di pregare in questa o quella maniera, qui oppure là, ma di essere degli adoratori in spirito e verità. E questa condivisione è frutto dello Spirito. Dopo l’incontro contestato d’Assisi del 1986, Giovanni Paolo II pronunziò queste riflessioni all’indirizzo della Curia Romana.

“Possiamo in effetti ricordare che qualsiasi preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo, che è misteriosamente presente nel cuore dell’uomo. E’ ciò che si è visto anche ad Assisi: l’unità che proviene dal fatto che ogni persona è capace di pregare, cioè di sottomettersi totalmente a Dio e di riconoscersi povera davanti a lui. La preghiera è uno dei mezzi per realizzare il disegno di Dio tra gli uomini”(cf.Ad Gentes, 3) (Giovanni Paolo II, “Discorsi alla Curia”, 22 dicembre 86)

 

 

 

  • La preghiera come testimonianza evangelica

 

Nel contesto della nostra presenza in terra mussulmana, ma certamente non solo in questo contesto, la preghiera deve essere situata anche come testimonianza evangelica. Ne è parte integrale. Non è un carisma che possa essere esercitato a prescindere da questa testimonianza. La preghiera è testimonianza. Sarebbe fuori luogo pensare che in terra Islamica, la vita di preghiera possa essere in fondo una sorta d’attitudine d’attesa. La preghiera fa di noi dei testimoni del Vangelo. Non sono io a potervelo insegnare.

Per rivelare il Volto della Carità di Cristo, la Chiesa ha bisogno di assumere un certo numero di differenti attività . Sin dai suoi inizi, la Chiesa ha dovuto organizzarsi. Bisogna andare incontro alle povertà del mondo, lasciandocene interpellare, e rispondendovi pur nella modestia dei nostri mezzi. In effetti nella Diocesi, come nelle altre diocesi d’Algeria e pure altrove, siamo portati ad assumere delle attività nel campo della promozione femminile, delle persone handicappate, della prima infanzia, della cultura…  Ma non siamo una ONG, la gente lo sa bene e il nostro nuovo Papa Francesco ce lo ricordava all’inizio del suo pontificato. In Algeria, siamo stati portati a uno spogliamento progressivo. Poco a poco lo Stato ha preso in mano i differenti settori della vita sociale. E noi abbiamo visto in ciò l’occasione per vivere una presenza più vera, più povera, più evangelica: la possibilità d’andare finalmente verso gli uomini a “mani vuote”. Non abbiamo nessun merito: ci siamo stati portati. Non perdiamo quest’occasione per mostrare finalmente il volto di una Chiesa povera e serva, rispondendo pure nella misura del possibile alle chiamate dei più deboli. Non possiamo tirarci indietro, e la nostra preghiera dà più senso al nostro impegno con loro.  Che gioia avere un Papa che vorrebbe riconciliare la Chiesa con il mondo dei più poveri. Il nome che ha scelto, Francesco, secondo l’opinione di tutti, rivela un vero e proprio programma. Egli ha voluto disegnarlo dietro questa figura simbolica e eloquente per il mondo intero. Non c’è migliore alleanza che quella tra preghiera e povertà.

Certo non possiamo discernere a quale livello e in che modo questo tipo di presenza rappresenti una mediazione “sacramentale” per gli uomini e le donne verso i quali siamo inviati. Quello che è certo è che, se non fossimo lì, qualche cosa di essenziale mancherebbe al Regno: il lievito non sarebbe nella massa. Uomini e donne che pregano sono il segno della lampada accesa: non possono che glorificare il Signore che è “la Luce dei cieli e della terra” (Corano, s.24). Nel cuore di questo mistero, ne siamo certi, qualcosa si produce.

 

 

 

  • Il Verbo si è fatto carne – Le esigenze dell’Incarnazione

 

4.1– Pregare in arabo

 

Il Cardinale Lavigerie esigeva che i suoi missionari parlassero la lingua degli uomini del paese, e che lo facessero perfino nella loro vita quotidiana, nelle relazioni tra di loro. In che lingua si prega? Fu una delle mie prime sorprese quando attraversai il Mediterraneo: si pregava in francese, si cantava in francese, in luoghi di culto importati direttamente dall’Occidente. In fondo non ero così infelice, non dovevo fare troppi sforzi linguistici… La nostra Chiesa del Maghreb ha bisogno di radicarsi nel mondo in cui vive. Si deve arabizzare non solo a livello della lingua, della cultura, ma anche della preghiera comune. Traducendo il Vangelo in arabo, e poi in tamashek, il Fratello Universale lo aveva ben capito. La nostra Chiesa ha la fortuna – per lo meno in Algeria – di vivere uno spogliamento che la rende già più credibile e più evangelica agli occhi del paese e di coloro che guardano a lei. Non voglio troppo caricare la dose, ma deve ancora convertirsi per diventare più profondamente e più autenticamente “araba” o “berbera”. Non è in contraddizione con la sua universalità.

Poco a poco, ma con determinazione, alcune Fraternità hanno intrapreso questa dinamica, e non si tratta di quelle che sono le più preparate dal punto di vita linguistico. E’ vero che al principio mi sono chiesto se questi sforzi non fossero tempo perso…  se non fosse artificiale pregare in arabo quando la grande maggioranza della Chiesa non è araba. Facevo quest’obbiezione a una Piccola Sorella la cui comunità aveva optato per uno sforzo d’arabizzazione della preghiera comune. Mi rispose con convinzione: “Ma è proprio perché questo cammino è quello dello spogliamento, dell’abbandono delle nostre ricchezze culturali e religiose, che bisogna prendere questa direzione. Lo stesso Cristo non si è spogliato di tutto?”. Sono contento di condividere spesso la preghiera del mezzogiorno, in arabo, con la comunità dei miei fratelli di Ghardaïa, o perfino di celebrare in arabo. E’ uno sforzo… ma il cammino si apre e ci uniamo nella nostra povertà a quelli e a quelle che s’inclinano quando suona il mezzogiorno.

 

 

4.2- Una forma di preghiera ben radicata nell’ambiente arabo

 

Non penso che dobbiamo prendere in prestito la liturgia delle Chiese d’Oriente, di cui l’arabo è una delle lingua. La sensibilità religiosa e il contesto socio-culturale del Maghreb sono differenti da quelli del Medio Oriente. La liturgia della Chiesa d’Oriente è anteriore all’era mussulmana. Nel Maghreb dovremmo essere capaci di innovare, nel quadro della nostra liturgia latina, tenendo conto della sensibilità religiosa nella quale viviamo. Siamo sempre più originari di paesi e continenti differenti. E’ difficile trovare una forma di liturgia e di preghiera che possa tener conto di tutte le sensibilità culturali e religiose. La sobrietà della preghiera mussulmana può essere un punto di riferimento. La liturgia della nostra Chiesa non deve irrigidirsi con regole rigorose, ma deve tener conto con flessibilità della sensibilità religiosa del nostro ambiente. I nostri luoghi di preghiera pure…  Non entrerò nei dettagli, ma è sempre possibile, e di fatto si fa, organizzare in questo spirito il nostro quadro di preghiera, adottare certe attitudini, certi gesti, magari pure integrare alcune preghiere, e tutto questo è come lo schizzo di ciò che altri potranno sviluppare dopo di noi. Dobbiamo pregare nella lingua della vita della gente con cui condividiamo la vita!

 

 

 

 

  • L’Eucaristia nel cuore delle nostre vite

 

 

E’ necessario andare più in là, ancora più a fondo: mettere l’Eucaristia nel cuore della nostra vita, come lo faceva Carlo de Foucauld. Ed è lì che la preghiera diventa veramente cristica: una discesa nel mistero dell’altro, un’immersione nel suo essere più profondo, una continua ricerca del suo legame profondo con Dio, una maniera di afferrare i “semi del Verbo” che egli porta dentro.

Giovanni Paolo II ci ha ricordato nella sua enciclica “Redemptor hominis” questo legame che Cristo aveva con ogni uomo. Nel cuore della nostra preghiera eucaristica, noi offriamo l’umanità che è alla ricerca di Dio. La offriamo in Cristo che ricapitola tutto in sé, e con sé, rimettiamo quest’umanità nelle mani del Padre. E’ là che l’Eucaristia, vissuta e celebrata dalla comunità, ci fa raggiungere degli orizzonti illimitati. Il Concilio ce lo ricorda:

“In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la sacra presidenza del Vescovo viene offerto il simbolo di quella carità e « unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica“. (Lumen Gentium, 26)

L’Eucaristia, celebrata così, è il preludio alla riunione di tutti i popoli, di tutte le lingue, di tutte le culture, nel Cristo totale. Il culmine della presenza d’una Fraternità o d’una comunità è raggiunto nell’Eucaristia celebrata “per la gloria di Dio e la salvezza del mondo”; ricapitola tutte le altre forme di preghiera. Il Padre Moubarak, prete libanese, diceva che il cristiano è il pane eucaristico del mondo mussulmano. E’ certamente quando si è trovato privato dell’Eucaristia, della possibilità di celebrare la messa, che Fratel Carlo ha meglio compreso che egli stesso doveva diventare “Eucaristia”, pane offerto per il mondo in mezzo al quale viveva. L’importanza che voi date alla presenza eucaristica, all’adorazione e alla celebrazione eucaristica nelle vostre Fraternità, viene da questa coscienza che egli aveva del posto primordiale dell’Eucaristia. Questa ci mette in comunione gli uni con gli altri, in comunione con l’umanità vicina e lontana, in comunione con la Chiesa tutta intera.

 

 

 

 

 

  • Una delle pietre fondamentali della Preghiera:  La Parola di Dio

 

Una delle Piccole Sorelle ce lo ricordava recentemente in una testimonianza: “Le due tavole della Parola e del pane sono unite; è ciò che voleva esprimere Carlo de Foucauld quando voleva vedere la Bibbia e il tabernacolo illuminati da una sola lampada”.

Penso anche al Cardinal Martini che, prima di morire, aveva sottolineato l’importanza della lettura della Parola di Dio, sia individualmente che ecclesialmente. Ecco cosa dice in un’intervista postuma, dopo aver dato come primo consiglio la conversione.

“Il mio secondo consiglio è l’ascolto della Parola di Dio. (…) Solamente chi riceve questa Parola nel suo cuore può aiutare il rinnovamento della Chiesa e potrà rispondere bene agli interrogativi  personali (…) Né il clero né il diritto canonico possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutti i regolamenti, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarificare la voce interiore e aiutare nel discernimento dello Spirito”.

La Parola di Dio è al centro della nostra vita di Chiesa. Vorrei innanzitutto sottolineare che, come voi, noi ci nutriamo ogni giorno della Parola di Dio nella liturgia eucaristica. Alcune comunità femminili non hanno la possibilità d’avere l’Eucaristia quotidiana. Però io so che ogni giorno si ritrovano intorno alla Parola di Dio per un tempo di condivisine e di dialogo. La loro vita viene illuminata dalla Parola. Oserei chiamare queste riunioni quotidiane “eucaristiche”. Il più delle volte comunicano al Corpo di Cristo. A dire il vero sono spesso queste le comunità che vivono più intensamente l’Eucaristia e la condivisione della Parola.

Un’esperienza che viviamo da due anni a questa parte è la lettura in comune della Parola di Dio durante tutto l’anno nella Diocesi. L’anno scorso, abbiamo preso alcuni capitoli dell’Esodo. Quest’anno abbiamo scelto i primi capitolo degli Atti degli Apostoli. La lettura in comune dell’Esodo ci ha aiutati a dare significato al nostro cammino comune, alla nostra vita di Chiesa tra questo popolo. La lettura degli Atti degli Apostoli ci permette di realizzare che in fondo la Chiesa è sempre ai suoi inizi, e che l’esperienza della Chiesa primitiva ci interpella nel nostro presente. Essa vive mossa dallo Spirito, conosce la prima sfida del passaggio ad altre culture, prende in conto le povertà del suo tempo. Questa lettura è fatta sia in maniera personale, sia in piccole comunità locali, sia nei “Settori” che permettono riunioni più vaste. E poi noi consacriamo una giornata della nostra Assemblea Diocesana annuale a ricapitolare insieme questo lavoro e questa lettura dell’anno. Questa “lettura in comune” è dappertutto un fattore d’unità, dà significato al cammino della nostra “carovana” diocesana. E’un legame forte nella nostra dispersione. Non avremo mai terminato di bere alla sorgente delle Scritture, come lo scriveva Sant Efrem di Nisibe nel 4° secolo:

“Chi è capace di comprendere tutta la ricchezza di una sola delle tue parole, o Dio? Ciò che noi comprendiamo è molto meno di ciò che ne lasciamo, come la gente assetata che si abbevera a una sorgente. (…) Colui che ha sete è contento di bere,ma non si rattrista perché è incapace di esaurire la sorgente. (…) Ringrazia per quanto hai ricevuto e non ti lamentare per quanto resta inutilizzato. Ciò che hai preso e portato con te è la tua parte; ma ciò che resta è anche la tua eredità”.

Non ho fatto neanche una citazione degli scritti del nostro benamato Carlo! E’ proprio una sfida in un’assemblea come la nostra. Vi confesso che non ho voluto prenderne il rischio. Ma sono contento di mettermi alla vostra scuola. Sono venuto qui per questo. E siccome mi hanno chiesto di prendere la parola… ho scelto un altro angolo, un altro approccio. Spero che vi ci riconosciate. Non ho bisogno di convincervi a continuare ad essere ciò che già siete nella diversità delle vocazioni…

E’ ciò che di meglio potete apportare alla Chiesa universale.

E’ ciò che di meglio voi apportate a questa piccola Chiesa del Sahara che conserva il messaggio del Fratello Universale.

E’ ciò che di meglio voi apportate all’incontro e al dialogo di vita tra cristiani e mussulmani.

Il messaggio d’Amore che voi portate è al di là di tute le frontiere, che siano geografiche o religiose.

Quest’Amore è così forte che “sacralizza” tutte le persone.  Cosa ci unisce di più, cristiani e mussulmani? Al di là delle nostre rispettive Scritture, e delle molte interpretazioni legittime che se ne possono fare? Il punto d’incontro più degno di nota non è forse la nostra comunità umana? Le nostre rispettive Scritture ci insegnano il valore sacro di ogni persona. E’ là che ci devono ricondurre tutte le letture e le interiorizzazioni della Parola di Dio.

Pochi giorni fa ho visitato un amico mussulmano di una piccola città del Sud. Ha fondato un’Associazione per la difesa dei cittadini. Parlando delle sue più profonde convinzioni, del carattere sacro di ogni persona, mi diceva: “Una sola persona ha più valore della Kaaba!”.

Non ho ancora citato Fratel Carlo, ma giunto al termine lo farò;

“Una sola anima ha più valore che tutta la Terra Santa e che tutte le creature senza ragione riunite” (citato da Michel Lafon., “Prier 15 jours avec Charles de Foucauld”, p.65).

Gesù diceva la stessa cosa alla Samaritana quando affermava che era venuta l’ora in cui gli adoratori adoreranno in spirito e verità (Gi 4,23). Non è a questo punto cruciale che ci riporta la meditazione della Parola di Dio ?

 

 

 

 

+ Claude Rault. Viviers, 5 Aprile 2013